Don Giacomo Panizza: Quando papa Francesco ha scomunicato i mafiosi

| 28 Febbraio 2015 | Comments (0)

 

 

 

L’altra pagina (la rivista molto bella di Don Achille Rossi)  febbraio 2015 ha fatto un dossier su Papa Francesco dal titolo “Chi ha paura di Papa Francesco?” )  Invitiamo le lettrici e i lettori di “Inchiesta a leggerlo” e riportiamo da questo Dossier l’intervista di Ernesto Rossi a Don  Giacomo Panizza, il prete che ha sfidato la ‘ndrangheta

 

Papa Francesco dà fastidio. Dà fastidio il suo modo semplice e diretto di affrontare i problemi, di dire pane al pane e vino al vino; di non usare metafore per scomunicare le mafie, per dire no alla guerra, per denunciare un sistema economico ingiusto che privilegia pochi ricchi a scapito della maggior parte della popolazione. Una popolazione di poveri, di sfruttati, di emarginati che da Francesco vengono esortati a ribellarsi e a lottare per la loro liberazione. Ma il papa non fa sconti nemmeno alla Curia romana che ha accusato di essere narcisista; di avere un cuore di pietra che trasforma uomini di Dio in “macchine di pratiche”; di essere affetta da alzheimer spirituale, da indifferenza verso gli altri e da severità teatrale e pessimismo sterile; di accumulare beni materiali e di ricercare il potere anche a costo di diffamare, calunniare e screditare gli altri.

Con questo comportamento franco, disinibito e poco curiale che tanto piace alla gente comune papa Francesco si è attirato addosso critiche sempre più esplicite da parte dei settori più conservatori della chiesa cattolica ma anche della borghesia italiana, che non digerisce denunce troppo esplicite e critiche troppo severe al sistema economico dominante. E il giorno della vigilia di Natale Vittorio Messori in un articolo sul Corriere della sera ha dato voce a questo malcontento. “I dubbi sulla svolta di papa Francesco” ha titolato il giornale milanese e nel sottotitolo ha precisato: “Bergoglio è imprevedibile per il cattolico medio. Suscita un interesse vasto, ma quanto sincero?”

Di tutto questo abbiamo parlato con Giacomo Panizza, sacerdote bresciano che da quasi 40 anni vive a Lamezia Terme, in Calabria, dove ha fondato “Progetto Sud”, una comunità autogestita assieme a persone con disabilità. Dal 2002 è nel mirino delle cosche, quando «spezzò il cerchio della paura prendendo in gestione il palazzo confiscato alla cosca dei Torcasio. Da allora è sottoposto a un programma di protezione». Ha scritto numerosi saggi, articoli e libri. Ne ricordiamo uno per tutti, quello scritto nel 2011 in collaborazione con Goffredo Fofi “Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso”, nel quale don Giacomo racconta la sua storia di “prete che ha sfidato la ’ndrangheta”.


D. Secondo Messori il “cattolico medio” sarebbe turbato dalle uscite imprevedibili del papa. Lei che ne pensa?

R. Mi sembra una sparata. Si utilizzano infatti linguaggi diversi secondo il contesto in cui ci si trova. Se devo fare una sintesi a degli studenti di teologia non userò lo stesso linguaggio che adopero quando chiacchiero sullo stesso tema tra amici. Secondo me, il papa si fa capire molto bene. La gente sa che dice la sua senza pretendere di avere tutte le ragioni, e sa anche che deve usare la propria testa….


D. Messori invece dice che il cattolico medio è «abituato a fare a meno di pensare in proprio».

R. Se per caso pensa che ci sia gente alla quale bisogna spiegare tutto al cento per cento, forse ha sbagliato epoca.

 

D. I cristiani di base, dopo l’uscita dell’articolo di Messori, hanno redatto un appello in sostegno di papa Francesco. Lei lo ha firmato?

R. Sì, l’ho firmato anche per ribadire che ci sono persone, come tutte quelle che hanno sottoscritto l’appello, che stanno convintamente dalla parte di papa Francesco. E le polemiche sulla paternità responsabile, come quella del direttore del Giornale di Berlusconi (“io che ho quattro figli, secondo il papa, sono un coniglio”), mi paiono molto strumentali.

 

D. Probabilmente c’è qualcuno che ha interesse a dimostrare che il papa è populista, contraddittorio, confuso…

R. Eppure le encicliche di papa Benedetto, come Deus caritas est e Caritas in veritate sostengono principi certo non meno rivoluzionari di quelli affermati da papa Francesco. Nella Caritas in veritate, per esempio, ci sono passi molto espliciti sulla carità, sulla giustizia, sulla globalizzazione, sui beni che sono beni comuni prima di essere individuali, sul fatto che le fabbriche potrebbero essere gestite in collaborazione con i lavoratori e così via. Perché il cattolico medio salta fuori solo adesso?.


D. Secondo Raniero la Valle non è un caso che l’attacco al papa venga dal Corriere della sera, il giornale della borghesia italiana che ha visto mettere in discussione alcuni punti cardine del suo potere: il sistema economico sociale, la questione del lavoro, la dittatura dell’economia, l’invito a non discriminare tra cittadini e profughi, il no chiaro ed esplicito alle guerre…

R. Anche il papa precedente diceva queste cose, forse con parole più studiate che magari il “cattolico medio” non capiva oppure riteneva accademiche nel senso di cervellotiche. Quello che dice papa Francesco invece lo capiamo tutti e lo comprendiamo riferibile alla vita concreta. Ho girato la Calabria a discutere dei temi della globalizzazione, dei ricchi e dei poveri, delle multinazionali, dell’economia… sono tutte questioni presenti nelle parole dei papi, specialmente da Giovanni XXIII in poi. C’è religiosità, eticità e spiritualità anche quando parliamo di questi argomenti e non solo quando andiamo a messa.


D. Come mai le affermazioni di papa Francesco fanno scalpore mentre le dotte encicliche di prima sono scivolate sopra la testa delle persone senza lasciare traccia?

R.Quei documenti venivano letti, se non prevalentemente da studiosi. Non sono diventati manifesti per il cambiamento, strumenti per coscienze nuove, occasioni per una chiesa incarnata. Io ho dato alle stampe un libricino in cui parlo di testi molto interessanti e molto espliciti della Cei su queste tematiche di giustizia sociale, di politica e legalità. Partendo dal ’92, dai tempi di mani pulite, su corruzione e legalità, abbiamo bellissimi documenti ecclesiali rimasti muti. Oggi, non dimentichiamolo, ci troviamo di fronte a un papa che è subentrato a un altro che si è dimesso perché non ha trovato nella Curia vaticana collaboratori all’altezza del compito….

 

D. Forse è stato anche ostacolato…

R. Minimo. E visto che con la Curia non ce la faceva più, ha avuto l’intelligenza grandiosa di capire che la scelta migliore era quella di dimettersi.

 

D. Insomma, a suo parere la linea della chiesa non è cambiata?

R.Sì, la linea c’è tutta. Da Giovanni XXIII in poi, altrimenti non ci sarebbe stato il Concilio. La diversità di papa Francesco rispetto agli altri è che riesce a sfarinare certe cose in maniera semplice, che non vuol dire sempliciotta. Così le cose che prima le capivano in dieci, oggi le capiscono in cento. Poi magari non tutti riescono a fare la distinzione ecclesiologica. Quel “Buona sera sono il vescovo di Roma, pregate per me” che papa Francesco disse la sera della sua presentazione era il segnale chiaro che egli si stava ponendo in mezzo a noi.

 

D. Quella frase invece non è piaciuta a Messori…

R. Se uno vuol parlare a Messori non so come deve fare, ma se vuol parlare al mondo deve usare un linguaggio che la gente capisce.

 

D. Lei vive e opera in un contesto difficile, questo papa agevola la sua missione o non è cambiato nulla rispetto a prima?

R. Certo che qualcosa è cambiato! Quando a giugno il papa è venuto in Calabria quelli di Tv 2000 mi hanno invitato a Roma a commentare in diretta l’evento. E quando il papa ha scomunicato i mafiosi, mi son detto: “Oh che bello! Era ora!”. Non so cosa abbiano pensato i vescovi calabresi, ma so che per Natale la Conferenza episcopale calabra ha redatto una Nota pastorale sulla ’ndrangheta intitolata “Testimoniare la verità del Vangelo”. Prima avevano pensato alla parola annunciare, poi hanno scelto testimoniare. È un librettino rivolto a tutti i cattolici delle dodici diocesi calabresi in cui si afferma che la legalità va testimoniata e non soltanto scritta e pensata o solo predicata.

 

D. Certo, c’è una bella differenza tra annunciare e testimoniare…

R. I vescovi hanno discusso tra loro e si sono detti: se il papa ha scomunicato la mafia, anche noi dobbiamo fare altrettanto. Così il 25 dicembre è uscito il documento che ora è in internet e da qualche giorno è uscito anche il librettino.

 

D. Insomma, per persone in prima linea come lei, è un bel supporto.

R. Certo, nel libro che ho di recente scritto per le Dehoniane, “La mafia sul collo. L’impegno della chiesa per la legalità nella pastorale” quel capitolo l’ho intitolato “Scomunicati”, papale papale.

 

D. Immagino che i vescovi siano intervenuti anche sulla questione delle processioni, degli omaggi agli ’ndranghetisti…

R. I vescovi hanno indicato delle modalità da tenere presenti quando la processione potrà fare delle tappe, e sottolineano che non ci si ferma davanti alla casa degli ’ndranghetisti. Se accadesse, deve essere il prete ad agire, perché la processione è una manifestazione religiosa. Non si può aspettare l’intervento dei carabinieri.

 

D. Dopo quel fatto finito su tutti i giornali, ce ne sono stati altri?

R. Sì, ci sono stati altri casi simili con più o meno scalpore, e altri ne succederanno ancora. Ma deve essere il prete che quando accade una cosa simile prende il microfono in mano e fa una bella predica senza aspettare che intervengano i carabinieri per far ripartire la processione. Ma siamo matti!?».

 

D. Se sacerdoti e fedeli fossero in sintonia col papa probabilmente queste cose non accadrebbero più.

R. Il problema è che c’è un miscuglio di sentimenti: alla gente piace il papa, a qualcun altro piace la protezione del boss e ha anche paura, poi c’è la tradizione, il condizionamento locale… Ma il papa ha offerto un grande appoggio per cambiare le cose, ora possiamo dire: la chiesa è qui. Ci hanno definito preti sociali e non di chiesa, come se il samaritano che si ferma ad aiutare il maltrattato lungo la strada fosse un samaritano sociale. Ma quello che sta male è un fratello! Non vorrei che il “cristiano medio”, che il Corriere della sera vuole relegare in chiesa, sia quello che pensa che la vita cristiana avviene solo nel tempio,

 

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Category: Culture e Religioni

About Don Giacomo Panizza: Don Giacomo Panizza, bresciano, ha fondato nel 1976 a Lamezia Terme “Progetto sud”, una comunità autogestita insieme a persone con disabilità e contribuisce a diverse iniziative della Caritas italiana e dalla Calabria. Il prete è nel mirino delle cosche dal 2002, quando spezzò il cerchio della paura prendendo in gestione il palazzo confiscato ad una cosca. Lo stabile dista pochi km dalla famiglia in cui abitano i mafiosi. Da allora è sottoposto ad un programma di protezione. Ha scritto numerosissimi saggi e brevi contributi, apparsi non solo su riviste di settore, ma anche in numerosi libri. Tra le sue opere “Finchè ne vollero. Diario spirituale perché materiale” e tante altre dimostrano di essere contenere un’indomita voce di coscienza. Don Panizza Interpreta con il suo continuo presidio sul territorio, un impegno non solo fisico, ma soprattutto spirituale, un sentimento che le cosche tendono a reprimere. Nel suo libro “Qui ho conosciuto purgatorio inferno e paradiso”racconta di una terra “dove mi è piaciuta l’idea di emigrare a rovescio, dove ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso”. In una trasmissione televisiva Paolo Bonolis lo presenta come “un uomo di pace minacciato di morte dalla ndrangheta”. E con freddezza ed estrema sincerità, Don Panizza racconta come le cosche cercano di frenare le sue iniziative. I mafiosi tagliano le gomme, manipolano i freni alle macchine, sono addirittura arrivati al punto di manipolare i freni alla vettura di un disabile. Per non parlare delle minacce esplicite, quelle a tu per tu. Tutto ciò lo ha portato ad avere paura, anche tanta, confessa il prete, ma in studio asserisce anche che ha più paura a sottomettersi. Si va avanti a testa alta e con la schiena dritta, nonostante tutto. “Bisogna che tanti facciano poco, piuttosto che pochi facciano tanto... Contro le mafie non serve Rambo. Serve che tutti ci impegniamo per la libertà di tutti e la legalità è cosa nostra, un tassello di questo impegno”.

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