Coronavirus in Cina: il compleanno di Laozi e Bertolt Brecht

| 19 Aprile 2020 | Comments (0)

 

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Il coronavirus ha cambiato le grandi feste religiose  nella settimana di Pasqua cattoliche e protestanti che sono state officiate dsenza pubblico. E in Cina? Laozi trascitto anche come Lao tzu  è vissuto nel V secolo a.C. ed è  l’autore del Daodejing (Tao te Ching), uno dei libri filosofici più tradotti e diffusi nel mondo. La sua data di nascita viene festeggiata  il 15 giorno della seconda luna del Calendario lunare cinese. Il compleanno di Laozi è festeggiato in Cina in luoghi diversi ed uno dei più celebri è nelle Montagne del Laojun nel Luoyang dove è eretta la più grande statua di Laozi in bronzo alta 38 metri (vedi immagine in alto).

Per ricordare Laozi quest’anno non festeggiato con folle di ammiratori per effetto del coronavirus presentiamo la torta costruita in suo anore il 12 marzo 2017, un saggio di Augusto Shantena Sabattini (fisico teorico e traduttore in italiano del Tao te ching) e la poesia di Brecht che ricorda questa leggenda.

 

 

 

1. Il compleanno di Laozi  festeggato il 12 marzo 2017 nel giorno del suo 2.588 anniversario con una torta di cinque tonnellate nel Luoyang (nello sfondo la grade statua del Laozi) nell’ Henan

 

 

 

2. Shantena Augusto Sabbadini:  La leggenda dell’origine del Tao Te-Ching

 

Un vecchio cavalca un bue, accompagnato da un ragazzo, su per montagne scoscese e deserte. Portano con sé poche provviste e qualche coperta. Si lasciano alla spalle un regno con una cultura raffinata, una città popolosa e campagne fertili e vanno verso occidente, verso steppe abitate solo da tribù di barbari. In cima al monte c’è un passo, l’ultimo confine del regno. Seduto all’ombra di un pino, un unico soldato sta a guardia del passo. È un povero militare, l’uniforme logora, i piedi nudi. Fedele alla consegna, ferma i viaggiatori, chiedendo la loro identità e la meta del loro viaggio. Ma meta questi due non ne hanno. E chi è questo vecchio che sembra di nobile lignaggio e in tarda età si avventura in un viaggio tanto faticoso? Il vecchio, dice il ragazzo, “insegnava”. “E cosa insegnava?” chiede il soldato. “Oh,” dice il ragazzo, “strane cose. Parlava dell’acqua che, pur essendo la sostanza più morbida, erode le rocce più dure. Insegnava che il morbido e il flessibile sono in grado di sopraffare il duro e il rigido.”

Il ragazzo tira la cavezza del bue. È ansioso di ripartire, perché si sta facendo sera e i due viaggiatori hanno ancora un buon tratto di cammino da fare. Ma il soldato ora è incuriosito. ” Cos’è questa faccenda dell’acqua?”

Il vecchio lo guarda tra le palpebre socchiuse: “Vuoi sapere?” “Io conto ben poco,” dice il soldato, “ma questa idea che il morbido e il flessibile vincono il duro e il rigido mi sembra importante. Perché non vi fermate qui questa notte e ne parliamo un poco? La mia capanna è modesta, ma si sta bene al riparo dal vento e accanto al fuoco.”

La curiosità è sincera e il consiglio sensato. Non si rifiuta un insegnamento a chi lo chiede in maniera tanto cortese. E al bue non dispiacerà il riposo e l’erba fresca del monte. Il vecchio a fatica smonta dalla sua cavalcatura.

Restano con il soldato quella notte e un’altra e un’altra ancora. Il soldato ha chiesto al vecchio di lasciargli qualcosa di scritto di queste strane cose che insegna e il vecchio ha acconsentito. Non lo aveva mai fatto, nei lunghi anni trascorsi nella capitale. Ma ora, di fronte alla richiesta di quest’uomo semplice, che appena sa leggere, stranamente, senza neppure pensarci, ha dettò sì. Perciò, seduto sotto il pino, trascorre le giornate scrivendo.

I giorni passano in tranquilla semplicità. I contrabbandieri si stupiscono che il

guardiano del passo sia divenuto tanto indifferente ai loro andirivieni. Il settimo giorno il vecchio consegna il manoscritto al soldato. I viaggiatori prendono congedo, ringraziano dell’ospitalità, il ragazzo aiuta il vecchio a risalire in groppa. al bue e si rimettono in cammino. Scompaiono in lontananza sul sentiero tortuoso.

Questa è una libera versione di una poesia di Bertolt Brecht. [1]La poesia è intitolata “Leggenda dell’origine del libro Tao Te Ching sul cammino di Lao Tzu verso l’esilio” ed è a sua volta una libera versione di una leggenda tramandataci da Sima Qian, il primo grande storico cinese. In verità non sappiamo neppure se Lao Tzu sia veramente esistito. Ma la leggenda trasmette un messaggio importante e profondo.

“Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao”: così comincia il manoscritto che il vecchio consegna al soldato prima di allontanarsi per sempre dal suo mondo. La parola tao significa in primo luogo ‘via, strada, cammino’, e in senso figurato ‘via da seguire, principio guida, norma, dottrina, metodo’. Quindi per estensione anche ‘dire, parlare, insegnare, esprimere’. La frase cinese è interessante e merita di essere esaminata un po’ più in dettaglio. Il cinese classico non ha articoli, non ha singolare o plurale, non distingue sostantivi e verbi. Una traduzione letterale della frase potrebbe perciò essere qualcosa come “tao possibile dire/insegnare/comunicare non costante/eterno tao”.

A un primo livello possiamo leggerla come:

“ogni dottrina che è possibile insegnare, trasmettere o comunicare non è una dottrina costante o eterna”, “ogni principio guida o norma che si possa enunciare non è una norma costante o eterna”.

Contiene dunque una radicale critica del linguaggio, non dissimile da quella che caratterizza il pensiero postmoderno: ogni dottrina, ogni enunciazione che pretende di avere un valore di verità, ogni norma che pretende di dirigere la condotta, ha un valore unicamente relativo e incostante. Dipende dal punto di vista e dagli interessi di chi parla. Più in generale, tutte le nostre teorie intorno alla realtà sono relative. Sono, secondo la bella metafora del matematico Korzybski, delle mappe: e una mappa non equivale al territorio. La realtà, il territorio, è eternamente al di là di tutte le nostre rappresentazioni.

Ma se i taoisti e i postmoderni condividono lo stesso scetticismo nei confronti del linguaggio (e della razionalità), le conseguenze che ne traggono sono assai diverse.

Se il linguaggio è incapace di contenere la realtà, la mossa dei pensatori postmoderni consiste nel lasciare andare la realtà. Abbandonano la nozione di una realtà oggettiva e universale e si concentrano unicamente sul linguaggio come creatore di realtà relative, di mappe intersoggettivamente condivise, e quindi di mondi sociali.

I taoisti fanno la scelta opposta. Se il linguaggio è incapace di contenere la realtà, essi sono pronti a lasciare andare il linguaggio. Il loro interesse è tutto concentrato su ciò che è al di là del linguaggio, sull’incomunicabile. Il tao degli esseri umani può essere incostante e inaffidabile, ma il Tao della natura, il Tao del mondo, il Tao dell’essere (e del non-essere, del vuoto) semplicemente è. Essi attribuiscono quindi un nuovo significato alla parola tao: è il significato che indico con l’iniziale maiuscola (che in cinese non esiste): Tao. Beninteso è un significato paradossale, perché vuole indicare l’indicibile, ciò che è al di là di ogni discorso, e perciò si nega nel momento stesso in cui viene enunciato. È qualcosa a cui si può solo alludere, un dito che indica la luna: è, soprattutto, un invito a un viaggio esperienziale, a una trasformazione esistenziale.

In questo senso perciò dobbiamo capire la leggenda riguardante le origini del Tao Te Ching. Secondo la leggenda Lao Tzu durante tutta la sua vita non avrebbe mai scritto nulla. Sima Qian ce lo descrive come “intento a cancellare ogni traccia personale di sé”. Come poteva scrivere, se in realtà la sola cosa di cui vale la pena di parlare è indicibile? Wittgenstein conclude il suo Tractatus-Logico-Philosophicus con le parole: “Di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”[2]. Coerente con se stesso e con Wittgenstein, per ottant’anni Lao Tzu (il cui nome significa ‘vecchio maestro’) ha taciuto.

Ma su quel passo di montagna, in cammino verso il volontario esilio, avviene un miracolo. Lo stesso si racconta di Gautama Buddha. Improvvisamente, quando meno se lo aspetta, dopo aver abbandonato come futili tutte le pratiche ascetiche, mentre sta bevendo una tazza di latte, gli si spalancano i cieli. Coglie lo splendore della realtà e la sua identificazione con il suo corpo, con il suo io si dissolve come neve al sole. È uno con l’oceano dell’esistenza. E, naturalmente, vorrebbe condividere con tutti questa realizzazione, che appartiene di diritto a tutti, che è la meta del viaggio di ogni forma di coscienza, di ogni essere senziente. Ma come fare? Le parole sono di gran

lunga insufficienti. Ogni descrizione della sua esperienza tradisce la realtà che vuol descrivere. È preso da un moto di sconforto, da un senso di impotenza.

Ma anche per lui avviene il miracolo. La nube gonfia di pioggia incontra la terra assetata. La sincera richiesta del soldato scioglie la riserva di Lao Tzu. La compassione per la sofferenza degli esseri senzienti scioglie la riserva di Buddha.

Entrambi assumono la sfida di dire l’indicibile. Coscienti del pericolo (della

certezza!) che le parole, come ossa calcinate, tradiranno un giorno l’esperienza vivente. Che la gente scambierà il dito per la luna e, ipnotizzata dal dito, dimenticherà la luna. Ma Lao Tzu, nel momento in cui accetta di servirsi delle parole, ritiene giusto mettere in guardia il lettore fin dall’inizio:

“Il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao”.

 


[1] Bertolt Brecht, “Legende von der Entstehung des Buches Taoteking auf den Weg des Laotse in die Emigration”, Werke, Frankfurt, 1988, XII, 33. Per una traduzione inglese vedi, p.e., la pagina web http://www.penninetaichi.co.uk/index_files/Page1090.htm.

[2] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi Editore, Torino, 1964, p. 82.

Fonte: http://www.shantena.com/it/

 

 

 

3.  BERTOLT BRECHT (1937) Leggenda della nascita del Tao Te Ching sulla via dell’emigrazione di Lao Tze

1
A settant’anni vecchio e pien d’acciacchi
Di riposare urgenza ebbe il Maestro.
Essendo la bonta’ indebolita nel paese alquanto
E la cattiveria riprendendo tono
Egli il calzare cinse.

2
E mise il necessario insieme:
Poco. Eppur qualcosa si’.
La pipa che la sera sempre fumava
E il libriccino che sempre leggeva.
Pan bianco, pure un po’, cosi’ a occhio.

3
Per una volta ancor la valle si godette per obliarla poi
Quando la strada imbocco’ della montagna.
E il suo bue la fresca erba ruminando
Si godeva, portando sulla groppa il vecchio.
Abbastanza veloce, infatti, a lui sembrava.

4
Ma tra rocce e dirupi al quarto giorno
Un doganier la strada gli ha sbarrato:
“Da sdoganar valori avete?” – “Niente di niente”.
E il garzone che guidava il bue
Aggiunse “Ha insegnato”.
E cosi’ anche questo fu dichiarato.

5
E l’uomo gioviale fattosi d’un tratto
Ancora chiese: “E qualcosa n’ha ricavato?”.
Parlo’ il garzone: “Che la molle acqua scorrendo
Col tempo sulla potente pietra la vince.
Lo capisci, cio’ che e’ duro soccombe”.

6
Per non perder del giorno l’ultima luce
Torna il garzone a pungolare il bue.
E i tre gia’ dietro un pino scuro scomparendo,
Si riscosse all’improvviso il nostro uomo
E grido’ “Ehi tu! Ferma, fermati un po’!

7
“Cos’e’ dell’acqua questa storia, vecchio?” Il vecchio si fermo’: “Che t’interessa, forse?”.
L’uomo parlo’: “Solo un doganiere io sono
Ma chi la vince su chi, questo interessa anche me.
Se tu lo sai, allora dillo!

8
Scrivimelo! Al ragazzo dettalo!
Una cosa cosi’ non si puo’ portar via con se’.
C’e’ della carta, qui da noi, e inchiostro.
E pure da cenare; perche’ la’ di casa io sto.
Allora, su, che ne dici?

9
Giro’ il vecchio il capo, l’uomo
A guardare: giubba rattoppata. Niente scarpe.
E un’unica ruga la sua fronte.
Ah, non era un vincitor chi gli veniva incontro.
Ed egli mormoro’: “Anche tu?”.

10
Per respingere una gentil richiesta
Troppo vecchio era, come appariva, il vecchio.
Perche’ a voce alta disse: “Quelli che chiedono
Meritano risposta”. Parlo’ il garzone: “Si sta facendo freddo”.
“Bene, una piccola sosta”.

11
E dal suo bue il saggio discese.
Per sette giorni scrissero in due.
E da mangiare portava il doganiere (e per tutto quel tempo
Coi contrabbandieri solo a bassa voce imprecando ando’).
E poi fu l’ora.

12
Al doganiere consegno’ il garzone
Ottantuno sentenze una mattina.
E ringraziando d’un piccol dono pel viaggio,
Svoltaron tra le rocce dietro quel pino.
E or su, dite: esser si puo’ piu’ di cosi’ gentili?

13
Ma non solo al saggio l’elogio rivolgiamo,
Il cui nome sul libro bella mostra fa!
Perche’ al saggio la sua saggezza proprio strappata va.
E dunque anche al doganiere grazie rendiamo:
E’ lui che al saggio reclamata l’ha”.

(a cura di Annapaola Laldi)

Category: Culture e Religioni, Osservatorio Cina

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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