Antonio Olmi: Il conflitto cino-americano. La trappola di Tucidide e il dialogo sapienziale di Matteo Ricci

| 23 Febbraio 2018 | Comments (0)

 

 

Il gigante cinese si è svegliato

            Nel 2015 il saggio The Thucydides Trap: Are the US and China headed for War?, pubblicato da Graham Allison su The Atlantic, suscitava un dibattito molto acceso e non ristretto ai soli circoli accademici.[1] Nel 2017 il libro di Allison sul medesimo argomento – Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap? – iniziava così: “Due secoli fa, Napoleone ammoniva: ‘Lasciamo che la Cina dorma; quando si sveglierà, farà tremare il mondo’. Oggi la Cina si è svegliata, e il mondo ha iniziato a tremare”.[2] In un certo senso, la crescita della Cina “è avvenuta così rapidamente che non abbiamo ancora avuto il tempo di rimanerne sorpresi”;[3] tuttavia, sarebbe difficile non concordare con Li Guangyao 李光耀, fondatore e per lungo tempo guida politica di Singapore, il quale una volta disse: “Lo spostamento dell’equilibrio mondiale prodotto dalla Cina è di tale entità che il mondo deve trovare un nuovo equilibrio. Non è possibile fingere che si tratti soltanto di un altro grande protagonista; questo è il più grande protagonista nella storia del mondo”.[4]

            Tale vertiginosa ascesa ha inevitabilmente messo la Cina a confronto con il mondo occidentale, in particolare con gli Stati Uniti. La materia del contendere è, innanzitutto, di natura economica: nel campo dell’economia la Cina ha già superato gli Stati Uniti. Essa “è divenuta la centrale mondiale della produzione”,[5] e dalla crisi finanziaria mondiale del 2008 la Cina “continua a svolgere il ruolo di motore della crescita economica globale”.[6] Una seconda area in cui il gigante asiatico ottiene oggi risultati migliori degli Stati Uniti è quello dell’educazione STEM (scientifica, tecnologica, ingegneristica e matematica): “in tutti gli anni dell’amministrazione Obama, le università cinesi hanno conferito più dottorati STEM delle università americane”,[7] e malgrado la notevole inclinazione all’uso della pirateria informatica e dello spionaggio industriale, “ogni anno che passa è sempre più difficile liquidare il crescente potere della Cina come privo di autonoma capacità di innovazione”.[8]

Un terzo ambito nel quale la Cina non ha ancora superato gli Stati Uniti, ma si avvicina sempre di più ad essi, è il settore della difesa: “da quando l’economia della Cina è cresciuta, i suoi cannoni e carri armati – e i loro equivalenti del XXI secolo – sono parimenti cresciuti, consentendo un nuovo livello di competizione con le altre grandi potenze, in particolare gli Stati Uniti”.[9]

            Comunque, l’elemento più caratteristico che esaspera il confronto tra Cina e Stati Uniti è di natura culturale: la civiltà cinese e quella occidentale sono troppo diverse l’una dall’altra per potersi facilmente incontrare. A questo proposito, Allison ricorda la tesi di Samuel Huntington sullo “scontro delle civiltà”:[10] “Secondo Huntington, la Cina e alcuni altri stati formano la civiltà ‘confuciana’, mentre gli Stati Uniti rientrano in un gruppo di stati che insieme comprendono la civiltà ‘occidentale’”.[11] Non è facile sintetizzare tutte le differenze culturali che intercorrono tra Cina e Stati Uniti; per questo autore, i cinque aspetti chiave che separano le società confuciane da quelle occidentali sono: la fiducia cinese nella supremazia dello stato sulla società e della società sull’individuo; la fiducia statunitense nella libertà, nell’uguaglianza, nella democrazia e nell’individualismo; la definizione, da parte della Cina, della propria identità in termini razziali; la proiezione, sempre da parte della Cina, del proprio ordine interno all’esterno, unita a una profonda diffidenza verso ogni interferenza esterna nei propri affari interni; la differente scala temporale adottata dai cinesi e dagli occidentali nella progettazione del proprio futuro.[12] Questa esemplificazione è inevitabilmente generica, tuttavia mette in luce le differenze essenziali tra i due mondi, e la difficoltà di trovare un accordo al di là di tali differenze: “essere sopravanzati da un rivale con il quale si condividono valori comuni – come è accaduto alla Gran Bretagna nei confronti degli Stati Uniti, i quali [all’inizio del XX secolo] la superavano in potenza ma conservavano in larga misura le sue credenze culturali, religiose e politiche – è un conto; è un altro conto essere soverchiati da un avversario i cui valori sono totalmente diversi dai nostri”.[13]

            Prendendo nota del confronto in atto tra le due superpotenze mondiali – che non può che acuirsi nel prossimo futuro – Allison si pone una domanda cruciale: l’America e la Cina sono destinate alla guerra? Vale a dire, una guerra imminente che le veda schierate su fronti opposti è non solo plausibile o probabile, ma addirittura inevitabile?

La trappola di Tucidide: un modello predittivo nel campo della storia applicata

            La “storia applicata” è una disciplina che, esaminando precedenti e analogie storiche, getta luce su situazioni e problemi attuali, in modo da suggerire le strategie e le politiche più appropriate da adottare.[14] Naturalmente, come ha detto Henry Kissinger, “la storia non è […] un libro di cucina che offra ricette già messe alla prova”; nondimeno, essa può “illuminare le conseguenze di azioni che si svolgano in situazioni comparabili”.[15] Di fronte alla competizione in atto tra Stati Uniti e Cina, gli storici applicati si chiedono: “Abbiamo mai visto prima qualcosa di simile? In caso affermativo, che cosa è accaduto le volte precedenti? Quali ispirazioni o indizi possiamo trarre da tali episodi per trattare il caso attuale?”[16]

            Al fine di rispondere a queste domande, Allison ricorre al modello analogico chiamato, da lui stesso, “trappola di Tucidide”.[17] Lo storico greco ha scritto il suo capolavoro, La guerra del Peloponneso, mirando a comprendere le ragioni profonde che avevano trascinato Atene e Sparta in un terribile conflitto, il quale devastò il mondo antico e indebolì irreparabilmente ambedue i contendenti. Il nucleo delle sue riflessioni può essere espresso con queste parole: “è stata l’ascesa di Atene, e la paura che tale ascesa ha suscitato in Sparta, a rendere la guerra inevitabile”.[18] Così, Allison definisce la trappola di Tucidide come “la violenta tensione strutturale che viene a crearsi quando una potenza nascente minaccia di rovesciare la potenza dominante. In tali condizioni, non solo eventi straordinari o inaspettati, bensì ordinari elementi di criticità negli affari esteri possono innescare un conflitto su vasta scala”.[19]

            La trappola di Tucidide può essere inclusa tra le leggi generali della natura umana: ogniqualvolta un soggetto B acquista potere, mettendo a repentaglio la supremazia del soggetto A, A reagisce – anche se B considera amichevole la propria ascesa – assumendo un atteggiamento di insicurezza, di timore, e di forte determinazione a difendere lo status quo ante. L’esito di tale situazione è sempre uno scontro violento? Non necessariamente. Se si verifica una delle seguenti condizioni, nessuna guerra avrà luogo: 1) A va in crisi, e si ritira dalla competizione con B; 2) B va in crisi, e si ritira dalla competizione con A; 3) A e B riescono a trovare una nuova condizione di coesistenza, soddisfacente per entrambi.

            Lo Harvard Thucydides’ Trap Project, guidato da Allison, ha individuato nel corso della storia degli ultimi cinquecento anni sedici casi in cui una potenza in ascesa ha sfidato la potenza dominante: dodici di questi contenziosi sono sfociati in una guerra, mentre quattro si sono conclusi con il mantenimento della pace.[20] I casi in cui la trappola di Tucidide, già pronta a chiudersi, non è scattata sono stati i seguenti: alla fine del XV secolo la potenza dominante era il Portogallo, la potenza in ascesa era la Spagna, la disputa verteva sul dominio economico e politico globale, la controversia si risolse con la sottoscrizione di un nuovo accordo; all’inizio del XX secolo la potenza dominante era il Regno Unito, la potenza nascente erano gli Stati Uniti, la disputa verteva sul dominio economico e sulla supremazia navale nell’emisfero occidentale, la controversia si risolse con l’adozione di una politica di appeasement; nel periodo 1940-1980 la potenza dominante erano gli Stati Uniti, la potenza nascente era l’Unione Sovietica, la disputa verteva sulla supremazia mondiale, la controversia si risolse con il collasso dell’Unione Sovietica; nel periodo immediatamente successivo al 1990 le potenze dominanti (in Europa) erano il Regno Unito e la Francia, la potenza in ascesa era la Germania, la controversia si è risolta con il progressivo indebolimento di Regno Unito e Francia, ambedue appartenenti alla stessa entità sopranazionale (l’Unione Europea).

            Il confronto in atto ai nostri giorni tra Cina e Stati Uniti si adatta perfettamente allo schema della trappola di Tucidide, con l’aggravante di una profonda divergenza culturale. Come già si è detto, la trappola di Tucidide offre solo tre possibilità di fuga: 1) il crollo della potenza dominante; 2) il crollo della potenza in ascesa; 3) una strategia doppiamente vincente, che conduca i due contendenti verso una condizione di pacifica e gratificante coesistenza. Al fine di sfuggire alla non inevitabile – ma di certo molto probabile – guerra tra Cina e Stati Uniti, come si potrebbe tentare di guidare il corso della storia verso una di queste tre uscite di emergenza?

           

Una critica alle proposte di Allison

            Poiché Allison è un leale cittadino degli Stati Uniti, è uno degli analisti più in vista nell’ambito della sicurezza nazionale e della politica estera del suo paese, ed è stato anche vicesegretario del Dipartimento della Difesa statunitense, sarebbe irrealistico e sleale aspettarsi da lui suggerimenti in vista della prima soluzione – cioè del collasso della potenza americana…

            Non sorprende neanche che una delle quattro opzioni strategiche previste da Allison al fine di prevenire il confronto militare tra la due superpotenze sia in linea con la seconda via d’uscita dalla trappola di Tucidide: vale a dire, il collasso della potenza in ascesa. “Dividendo la Cina al suo interno e costringendo Pechino ad occuparsi della stabilità domestica, gli Stati Uniti potrebbero evitare, o almeno sostanzialmente ritardare, la sfida cinese al predominio americano”,[21] egli dice; e fornisce una dettagliata spiegazione del modo in cui lo sgretolamento della coesione interna dello stato cinese potrebbe essere ottenuto.[22] Tuttavia, per quanto tale proposta suoni gradevole ad orecchie americane, essa appare contraddittoria e pericolosa: ogni tentativo di compromettere la stabilità della Cina dall’esterno è, in se stesso, un atto inequivocabilmente ostile, e il suo smascheramento da parte delle autorità cinesi porterebbe i due contendenti sull’orlo di una guerra – o perlomeno, di una “guerra fredda”.

            Consapevole della “spiacevolezza” (ugliness)[23] di questa opzione, Allison dedica tre su quattro delle proprie proposte strategiche alla terza possibile via di uscita dalla trappola di Tucidide: vale a dire, la ricerca concorde di una coesistenza accettabile. La strategia dell’“accomodamento” (accomodation) – da non confondersi con l’“acquietamento” (appeasement) – consiste “in un serio sforzo di adattarsi a un nuovo equilibrio di potere attraverso l’aggiustamento delle relazioni con un serio rivale – cercando cioè di volgere al meglio le tendenze sfavorevoli senza ricorrere a mezzi militari”;[24] la strategia della negoziazione di una pace a lungo termine potrebbe condurre le due superpotenze “ad imporre, per un quarto di secolo, considerevoli restrizioni alle proprie ambizioni in qualche settore in cui si trovino in conflitto, lasciando le due parti libere di perseguire altrove il proprio vantaggio”;[25] la strategia della ridefinizione della mutue relazioni potrebbe promuovere le vicinanza tra Cina e Stati Uniti in modo tale da evitare le grandi minacce (mega-threats) che insidiano ambedue i giganti, in confronto alle quali “gli interessi nazionali vitali che le due potenze condividono sono più grandi di quelle che le oppongono”.[26]

            Tuttavia, anche queste proposte strategiche “cooperative” prestano il fianco alla critica. Di fatto, ogni forma di cooperazione si basa su una tendenza condivisa a quel “bene comune” che può essere considerato “fine comune”.[27] Ma l’identificazione di che cosa sia il “bene comune” presuppone una comune identità di vedute, che è molto difficile da trovare qualora gli interlocutori siano separati da profonde differenze culturali. È questo il caso dell’America – ovvero dell’Occidente in generale – e della Cina, estraniati da un divario culturale straordinariamente profondo, che solo gli osservatori più superficiali e stoltamente ottimisti possono sottovalutare, e considerare facilmente superabile… Perciò, prima di cercare di elaborare strategie cooperative tra gli Stati Uniti e la Cina basate su una considerazione condivisa del “bene comune”, sarebbe consigliabile chiedersi: come possono le civiltà occidentale e cinese essere condotte verso una più sviluppata consapevolezza di ciò che veramente è il loro “bene comune”?

            Si potrebbe rispondere: attraverso il dialogo. Ma il dialogo può essere inteso e condotto in modi assai diversi. C’è un dialogo “strumentale”, vale a dire uno scambio di conoscenze attraverso le quali ognuno dei dialoganti cerca di ottenere un vantaggio per sé; in questo caso, gli interlocutori possono essere paragonati a due viaggiatori che camminano insieme per un po’ lungo la medesima strada, ma che poi si separano per andare in direzioni diverse (o addirittura opposte). C’è anche un dialogo “sapienziale”, per mezzo del quale i dialoganti cercano effettivamente un beneficio reciproco; essi sono paragonabili a due viaggiatori che lungo il percorso diventano amici, e decidono di camminare insieme fino al termine della strada.

            Allison sembra molto ottimista sulla globalizzazione della conoscenza che sta coinvolgendo un numero progressivamente crescente di studenti cinesi: “circa 800.000 dei migliori e più brillanti studenti cinesi vanno all’estero per la loro educazione, e 300.000 di essi studiano negli Stati Uniti”.[28] Ma egli sembra dimenticare l’antico adagio cinese: “知己知彼方能百战百胜”(“conosci te stesso e conosci l’altro, solo allora potrai combattere cento battaglie e ottenere cento vittorie”)… L’interesse cinese nei confronti del patrimonio occidentale di conoscenze va inteso probabilmente nella prospettiva del dialogo strumentale, che non esclude futuri conflitti tra “loro” e “noi”; solo un tenace e prolungato sforzo di tradurre in pratica il dialogo sapienziale può illuminare una sicura via d’uscita dalla trappola di Tucidide.

 

Il dialogo sapienziale di Matteo Ricci tra l’Occidente e la Cina

            Padre Matteo Ricci fu un gesuita italiano che visse in Cina dal 1582 al 1610, anno in cui morì a Pechino.[29] Dotato di notevoli qualità intellettuali e di straordinaria memoria, fornito di un’eccellente educazione, egli studiò la lingua, la letteratura, gli usi e le tradizioni della Cina, e fu accolto come interlocutore privilegiato dalla classe dei mandarini – i letterati-burocrati che allora amministravano il Paese di Mezzo. Il criterio che guidò Ricci nei suoi scambi culturali e sociali con i mandarini fu il corretto uso della ragione: egli fece costante riferimento alla “ragione naturale” – comune a tutti gli esseri umani di ogni tempo, luogo e cultura – con i suoi “primi princìpi” conoscitivi (causalità, finalità, non contraddizione) e le sue “certezze originarie” (l’esistenza della realtà e della persona come soggetto libero e intelligente, capace di conoscere il vero e il bene e di agire secondo virtù); non ebbe difficoltà a trovare significativi riferimenti a tali princìpi e certezze nei classici della letteratura cinese. Dopodiché, Ricci introdusse i suoi interlocutori all’uso della “ragione scientifica”: presentando i risultati della ricerca occidentale nei campi della matematica, dell’astronomia, della geografia, della cartografia, e in alcuni settori più strettamente applicativi (come il disegno delle mappe geografiche e la costruzione degli orologi, delle sfere armillari, degli astrolabi e delle meridiane),[30] con la manifesta intenzione di condividere con loro la bellezza e la potenza di uno stile rigoroso di pensiero che essi ancora non avevano conosciuto nel corso plurimillenario della storia cinese, ma che avrebbero potuto facilmente – e vantaggiosamente – acquisire. Infine, Ricci dispiegò di fronte ai suoi amici cinesi l’uso della “ragione sapienziale”, di valore inestimabile al fine di raggiungere il più alto traguardo della vita umana: “夫修己之学,世人崇业。凡不欲徒禀生命与禽汇等者,必於是殚力焉。修己功成,始称君子;他技虽隆,终不免小人类也”(“La ricerca della perfezione di sé è un obiettivo considerato da tutti di importanza suprema. Chiunque voglia essere all’altezza della vita che gli è stata donata e non voglia essere paragonato a un animale, certamente deve impegnarsi al massimo grado. Chi riesce nel perfezionamento di sé può essere considerato un uomo nobile; altrimenti, malgrado abbia altre doti, rimarrà un uomo meschino”).[31] Mentre la ragione scientifica è astratta e non è in grado di realizzare nell’uomo il bene morale, la ragione sapienziale è affettiva ed esperienziale, e coinvolge integralmente le persone che ne fanno uso: seguire la sua via conduce alla saggezza. Solo la ragione sapienziale può sostenere il dialogo sapienziale – l’unico genere di dialogo che conduce i dialoganti a raggiungere non un bene comune relativo, ma il supremo bene comune.

            Ovviamente, la ricerca del supremo bene comune è di carattere religioso. È possibile che persone appartenenti a culture diverse e lontane tra loro riescano a parlare di religione senza cadere nel fanatismo e nell’intolleranza, e a percorrere insieme la stessa via in direzione del miglioramento di sé? È possibile condurre un dialogo interreligioso sotto la guida della ragione sapienziale, in modo da mantenere e rispettare le tutte le differenze reciproche e al tempo stesso raggiungere un’unità di livello superiore, che allontani in modo decisivo l’eventualità di un conflitto armato?

            Il capolavoro di Matteo Ricci《天主实义》(Il vero significato di “Signore del Cielo”, conosciuto anche come Catechismo), pubblicato a Pechino nel 1603, è un dialogo tra un occidentale e un cinese che riflette l’esperienza avuta dall’autore nei suoi colloqui con gli amici mandarini, a proposito della ricerca della sapienza suprema. Quattro secoli dopo, questo classico del dialogo interreligioso è probabilmente la migliore guida pratica a disposizione degli occidentali che desiderino sinceramente imparare a confrontarsi con la civiltà cinese nei suoi aspetto più profondi, e talora sconcertanti: al fine di superare quel pericoloso senso di estraneità culturale che oggi rende così difficile per gli Stati Uniti e la Cina trovare una sicura via d’uscita dalla trappola di Tucidide.

 

Questo testo è la traduzione di
“Thucydides’ Trap and Matteo Ricci’s Sapiential Dialogue: looking for a way out from a not inevitable Sino-American War», Oikonomia 16 (2017), 3, http://www.oikonomia.it/index.php/en/2017/ottobre-2017/1012-thucydides-trap-and-matteo-ricci-s-sapiential-dialogue-looking-for-a-way-out-from-a-not-inevitable-sino-american-war

 

 

[1] Cf. G. Allison, “The Thucydides Trap: Are the US and China headed for War?”, The Atlantic, September 24, 2015, https://www.theatlantic.com/international/archive/2015/09/united-states-china-war-thucydides-trap/406756/.

[2] G. Allison, Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap?, Houghton Mifflin Harcourt, Boston – New York 2017, vii.

[3] Allison, Destined for War, xviii.

[4] G. Allison – R.D. Blackwill – A. Wyne, Lee Kuan Yew: The Grand Master’s Insights on China, the United States, and the World, MIT Press, Cambridge MA 2013, 42.

[5] Yi Wen, The Making of an Economic Superpower: Unlocking China’s Secret of Rapid Industrialization, World Scientific Publishing, Hackensack NJ 2016, 2.

[6] S. Roach, “Why China Is Central to Global Growth”, World Economic Forum, September 2, 2016, https://www.weforum.org./agenda/2016/09/why-china-is-central-to-global-growth.

[7] Allison, Destined for War, 16.

[8] Allison, Destined for War, 18.

[9] Allison, Destined for War, 19.

[10] S. Huntington, The Clash of Civilization and the Remaking of World Order, Simon & Schuster Paperbacks, New York, 2003.

[11] Allison, Destined for War, 136.

[12] Cf. Allison, Destined for War, 138-139.

[13] Allison, Destined for War, 139.

[14] Cf. Allison, Destined for War, 216.

[15] H. Kissinger, White House Years, Little Brown, New York 1979, 54.

[16] Allison, Destined for War, 218.

[17] Allison, Destined for War, 29.

[18] Thucydides, The Peloponnesian War, a cura di R.B. Strassler, tr. inglese R. Crawley, Free Press, New York 1996, 11.23.6.

[19] Thucydides, The Peloponnesian War, 29.

[20] Thucydides, The Peloponnesian War, 245-286.

[21] Thucydides, The Peloponnesian War, 225.

[22] Cf. Thucydides, The Peloponnesian War, 223-225.

[23] Cf. Thucydides, The Peloponnesian War, 221.

[24] Thucydides, The Peloponnesian War, 221-222.

[25] Thucydides, The Peloponnesian War, 225.

[26] Thucydides, The Peloponnesian War, 228.

[27] Thomas Aquinas, Summa Theologica, a cura dei Padri della Provincia Domenicana Inglese, Christian Classics Ethereal Library, I-II, 90, 2 ad 2, http://www.ccel.org/ccel/aquinas/summa.FS Q90 A2.html.

[28] Allison, Destined for War, 230.

[29] Cf. G. Criveller, Matteo Ricci: Missione e ragione, PIME, Milano 2010.

[30] Cf. Criveller, Matteo Ricci, 37.

[31] Cf. M. Ricci, Catechismo. Il vero significato di «Signore del Cielo», tr. it. Sun Xuyi – A. Olmi, ESD, Bologna 2013, 107.

Category: Osservatorio Cina, Osservatorio Stati Uniti

About Antonio Olmi: Antonio Olmi è nato a Macerata nel 1958. Dopo aver studiato filosofia – laurea nel 1982 all’Università di Macerata, dottorato di ricerca del MiURST nel 1989 – si è dedicato per alcuni anni all’insegnamento della filosofia e della storia nelle scuole superiori. È entrato nel 1995 nell’Ordine dei Predicatori, proseguendo gli studi nell’ambito della teologia sistematica a Bologna (Studio Accademico Teologico Bolognese, dove ha conseguito il baccellierato in Sacra Teologia), e a Roma (Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la licenza e il dottorato in Sacra Teologia sotto la direzione di Gerald O’Collins SJ). In seguito, ha iniziato a insegnare presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna (Bologna), dov’è docente stabile straordinario di teologia sistematica. È attualmente direttore di Sacra Doctrina, rivista scientifica di teologia (www.sacradoctrina.it). Punto di partenza della sua attività di ricerca è il problema della realtà: solo le «cose» materiali sono reali, o il concetto di realtà dev’essere ampliato, in modo da comprendere la Prima Causa e il Fine Ultimo di tutto ciò che esiste? In tal caso, la realtà di ultimo livello non può che essere Dio, l’«Essere Supremo» (secondo san Tommaso d’Aquino), il «Signore del Cielo» (“天主”, secondo Matteo Ricci) – l’origine increata e il fondamento di ogni perfezione creata. E tuttavia, «Dio nessuno l’ha mai visto» (Gv 1,18). Per poter alzare lo sguardo verso di Lui – e dare così un solido fondamento alla nostra conoscenza della realtà – è necessario compiere tre passi: usare la «retta ragione» – cioè esercitare la ragione naturale in conformità con i princìpi universali della conoscenza e della morale; andare oltre (non contro!) la ragione – cioè aderire, con l’aiuto della grazia, alle verità divine rivelate da Dio in Gesù Cristo e nella tradizione della Chiesa; tornare a una ragione «espansa» – cioè a una ragione illuminata dalla virtù della fede e dal dono della sapienza, che permette di comprendere la realtà nella prospettiva stessa di Dio.

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