Alberto Cini: Cronaca di un vuoto apparente

| 20 Ottobre 2014 | Comments (0)

 

 

Due ore in Biblioteca Sala Borsa Ragazzi di Bologna

Le tavole sono di Alberto Cini

 

 

poesia

Alveari amministrativi

 

Questo intervento costa troppo!

e il troppo non è umano

non ci sono soldi

ed i soldi non hanno dubbi

I politici non capiscono!

ma il capire non ha gerarchia

La gente se ne frega!

ma fregarsene è l’ultima scialuppa

e ancora ancora nel tempo…

Parole che volano ronzando

come gli insetti ad ogni estate

Ma non è facile distinguere

in volo un’ape da una vespa

Eppure lo sanno tutti

che mentre l’ape fa il miele

la vespa pensa a se stessa.

 

 

cronaca e pensieri

Biblioteca, Sala Borsa, Bologna, eravamo Mario, la tirocinante ed io.

 

In ordine di età e di ruolo, il più giovane era Mario che fungeva da utente adolescente, poi Claudia la tirocinante dell’università, studentessa, poi ultimo della ciurma del gruppo socioeducativo venivo io che come età siamo già alla moltiplicazione delle età precedenti per varie unità.

Aspettavamo gli altri ragazzi, qualcuno giunto presto stava guardando un film, Mario no. Mario è apatico, così si potrebbe dire, ma apatico non è abbastanza, Mario è seduto con  le mani pesanti come campane mute, che scendevano attaccate alle braccia, le braccia che non sembravano appartenere a lui, nascoste sotto il tavolo, sotto la sponda che sorreggeva a volte il petto a volte il mento.

Del mento Mario non aveva bisogno, non parlava, guardava fisso la tirocinante che sbuffava, imbarazzata dall’inondazione oculare della sua letargia.

Mario non si annoiava ne si divertiva, forse indifferente e statico, vicino a me, appoggiati al grande, gigantesco tavolo di laminato bianco, completamente vuoto.

Tutto in quell’attimo era estremamente bianco e appunto vuoto, dal silenzio ottundente, alla superficie del grande tavolo rotondo, all’intonaco lumeggiante sul soffitto che colava lungo la tempera fine sulle superfici delle pareti. Non bastavano le scafalature e i libri contenuti, ne le persone di passaggio a scalfire quel senso di pace mistica che invade le biblioteche e che si riflette nei chiarori architettonici in forma di grande vuoto.

Di questa sala della biblioteca si sente e si assapora, soprattutto l’altezza, l’altezza del soffitto è un’ importante dimensione educativa, molto spazio vuoto sulla testa ti permette di comunicare meglio, anche durante gli infiniti e occasionali silenzi tra un adulto e un adolescente, quest’altezza ti fa piccolo e l’asimmetria della relazione diminuisce, una luce scende dall’alto, scende delicata e fa atmosfera, dove la cultura è un culto e ti trovi a metà strada tra una cattedrale ed un asilo d’infanzia.

Una ragazzina passa a dirci che il film nella postazione computer video, è appena cominciato, un’altra fa un cenno dalla postazione computer scrittura, ricerca di geografia. Eseguo il classico gesto di consenso verso di loro, un gesto che come la biblioteca è a metà strada tra dimensioni opposte, che per non annullarsi si sommano, scaturendo atteggiamenti da bulletto sacerdotale, una mezza via tra Fonzie e il Papa.

Ci troviamo in Sala Borsa, biblioteca comunale nel centro di Bologna, edificio storico, grande ventre dei vari ceti sociali, è decisamente, simbolicamente una grande madre a cui tanti aspirano per le sue attenzioni, la sua architettura è già un richiamo sulla città, richiamo per i dispersi sociali che non solo hanno bisogno di consultare libri, ma cercano protezione, riparo, un attimo di serenità, un luogo d’incontro.

Oggi anche noi, ragazzi ed educatori facciamo parte dei dispersi, dei senza tetto professionali, dei quasi-dimenticati istituzionali, le cause sono le infinite propaggini della burocrazia istituzionale, che non è mai pronta allo scadere dei contratti, al loro rinnovo, ai tagli economici, al trovare le sedi, anche se si dice : “…e poi che a Bologna va bene!”.

Si respira comunemente che il lavoro sociale è una strada in discesa verso l’anonimato e in salita verso il diritto al benessere o alla semplice dignità di esistere con dignità, ripetizione voluta.

Mario è un adolescente che esprime come una statua fatua, una solitudine particolare, è la solitudine delle politiche sociali, che pur essendoci, hanno distanze infinite, lungo le strade delle occasioni e dei privilegi, delle culture personali, che dividono i gestori dai destinatari. La dignità dei “bisognosi” soccombe. di fronte alla forza che la patente del mercato, come modello ideologico che diviene prassi, concede solo a quel “bisogno” riconosciuto e acquistabile da un possibile “cliente”, o meglio da un “consumatore”.

Ma i bisogni di Mario non sono beni acquistabili, e anche se lo fossero non avrebbe il denaro necessario. Mario fece qualche furtarello, ovviamente, molta play station, molte canne, le bottiglie giuste, ma essendo una persona dalla coscienza identitaria ferita e molto profonda, non sostituì la sua mente con le cose, scelse di sopportare il vuoto. Ora sta scegliendo di sopportare il vuoto, ma anche di non sentire la rabbia e il dolore di questo vuoto, il problema si cela dietro a questo arcano. Freud sosteneva che la nevrosi che ci causa problematicità esistenziale, alla fine sarebbe divenuta la nostra migliore alleata nella vita, concordo ma osservo. Le ferite certamente scavano e nella lacerazione si mostrano le nostre parti profonde, al quale contatto la vita cambia, ma lo scavo non è un gioco di ruspe coordinate da professionisti del profondo. In questi ragazzi sono storie di vita frustranti, e una cicatrice muta sostituisce la fenditura narrante. Il “vuoto” come abbandono e la “narrazione” come grido, sono due chiavi per aggredire il dolore inespresso.

In questo vuoto esistenziale, sul tavolo di formica bianco, qualcuno appoggia una locandina, una locandina informativa, per il compleanno di sala borsa biblioteca, tredici dicembre duemilaquattro. La locandina era quasi tutta bianca, piccole illustrazioni e alcune frasi in calce. Erano brevissimi brani di libri e una di queste diceva:”Le uniche mappe e cartine a cui fare riferimento erano nella memoria o nell’immaginazione, ma erano abbastanza chiare”. Non ricordo altro, solo questa frase.

Non c’è niente di più bello per me, quando i grafici professionisti lasciano tanto spazio vuoto, vicino a belle parole, su locandine o biglietti informativi, stampati su cartoncini di una alta qualità di carta, dalla grana fine, immacolata, pronta ad essere scarabocchiata.

Memoria ed immaginazione, sono i due passi ritmici che portano avanti la narrazione e d’era d’auspicio questa frase, il bianco spazio della locandina, il vuoto opprimente di Mario che si accasciava sulla sedia. Mario non si arrabbia mai, Mario stette fermo a guardare mentre gli rubavano la bicicletta davanti alla scuola e gliela pestavano sui raggi.  Mario si nascondeva sotto i tavoli per farsi cercare, un giorno restò sotto il tavolo tantissimo tempo e la scuola chiuse, la notte strappò le carte giografiche alle pareti, arrivò anche la polizia, Mario non era solo quella notte e la colpa non era sua.

Biblioteca. Proposi al “Mario che non si arrabbiava mai”, di scrivere qualcosa sul retro del foglietto informativo, di riempire quel vuoto diafano di qualcosa, di qualunque cosa gli venisse in mente. Scrivere a quattro mani è un’attività piacevolissima, ai ragazzi non piace scrivere, è troppo scolastico, ma piace raccontare, allora loro dettano e io scrivo, così non in solitudine nascono le parole.

Chiedemmo una biro in prestito alla bibliotecaria… e scrivemmo due storielle atroci, che caddero dall’alto come la luce dai lucernai della sala. Dissi a Mario di guardarsi attorno e farsi stimolare da ciò che vedeva, “da ciò che vedi puoi passare a quello che senti e da quello che senti a quello che immagini.”

Mario cominciò a parlare…

 

 

Prima storia

Claudia la strabica

 

In biblioteca in questo preciso momento una barbona di strada di nome Claudia sta guardando un ragazzo che fa l’educatore.

Dall’alto del soffitto cade un fucile proprio tra le braccia della barbona, la quale mira in testa all’educatore da una distanza di cinque centimetri e spara, spara ma non lo colpisce. L’educatore prende un coltello che teneva in tasca e dalla distanza di due metri glielo pianta in testa. Da questa storia si conclude, col fatto che è chiaro che i barboni sono persone meno capaci degli educatori, per questo sono diventati barboni, altrimenti sarebbero educatori.

 

Seconda storia

Il principe killer e la volpe assassina

 

solo un dialogo…

Ciao come stai? “ chiese il principe.

Bene, ma tu hai ammazzato qualcuno?” rispose la volpe.

Certo! non lo sai che sono un serial killer”affermò il principe.

Dovresti saperlo, visto che ora voglio uccidere anche te!” continuò il principe.

Cosa ho fatto di male?” chiese la volpe supplicando.

Hai ucciso la strega cicciona!” affermò il principe.

L’hai toccata con un dito e appena l’hai toccata, lei si è fatta male e dopo pochi secondi è caduta, ed è morta!” continuò il principe.

Allora il principe prende un fucile e spara in testa alla volpe.

La volpe muore saltando in aria e ne resta solo una macchia di sangue del prato.

 


 

Finite le storie, Mario ride, dice che sono cazzate, non capisce il mio entusiasmo per delle stupidaggini simili, “Perché le vuoi tenere, te le metti in tasca? ma buttale via!”. “No, carissimo, ora non sono cose solo tue, sono i miei ostaggi della tua mente!” gli rispondo, “che vuoi fare? “, “basta! sono stanco, mi annoio, facciamo qualcosa, mi hai stufato con i tuoi giochi di raccontini scemi… dai facciamo merenda? andiamo a fare un giro? ti faccio sentire una canzone quando siamo fuori…”

Il vuoto estatico, il vuoto mistico, il punto opposto dell’impermanenza , il non essere che bilancia tutte le possibilità di esistenza, sono ancora luoghi inospitali per noi, educatori ed adolescenti, che ci opponiamo alle croste scure sui ginocchi della sofferenza, stiamo ancora costruendo la zattera che ci farà passare il fiume (metafora buddista). Occuparsi di educazione è l’arte di costruire zattere, barche, transatlantici. La narrazione è il carburante giusto che ci da la forza di camminare alla ricerca dei rami e dei materiali buoni da costruzione. La narrazione è il nostro codice del fare insieme.

Così finisce questa storia di un pomeriggio critico a zonzo per la città con un gruppetto di adolescenti, tutti uguali e tutti diversi tra loro. Ognuno con le sue tecniche per sconfiggere il congelamento del vuoto interiore, chi ha avuto il film, chi un gioco sul telefonino, chi un libro illustrato. Solo Mario era stato congelato dal vuoto, senza fare tentativi per riempirlo, non come un monaco consenziente ma come un ragazzotto di strada qualunque. Aveva scelto la torre d’avorio invisibile della solitudine e del mutismo. Lui dice che sono matto quando, come educatore, do tutte le colpe alla fata Morgana, una donna dalla magia potente che si insinua nel welfare locale e ci affascina con le sue gabbie impercettibili, facendoci dimenticare che siamo tutti maghi, tanti Merlini che popolano Bologna e non sanno, guardandosi in faccia che bisogna sconfiggere i Principi cattivi e le streghe burocratiche con le le armi che si posseggono. Bisogna armarsi di cultura e di esperienza per combattere o almeno per difendersi dagli imperi invisibili, dai travestimenti del potere coercitivo e seduttivo. Termino il racconto, bofonchiando con me stesso su argomenti che risparmio a Mario mentre torniamo in sede, al tramonto. Ma non risparmio a questo scritto. Il mio lavoro prende ogni giorno il volo ed entra direttamente in contatto le tre fate Morgane di tutte le epoche, l’aspetto economico, l’aspetto culturale e l’aspetto delle relazioni, che si incrociano come una treccia immensa alla quale siamo tutti legati. L’onda economica si ribalta su quella culturale, la quale investe le relazioni, nella mia pedagogia dell’esistere propongo ai ragazzi di viaggiare in senso contrario all’autorità. Creando buone e ricche relazioni, possiamo espandere ed investire in competenze e scambi di saperi, che ci permetteranno di costruire economie basate sul rispetto e sullo sviluppo delle nostre vite. Quindi, quando si parla troppo della mancanza di denaro, nella vita personale come pure nella gestione della Rex pubblica, significa che non ci siamo accorti che le altre due precedenti istanze sono già state soffocate nel sonno e bisogna cercare di rianimarle. Riuscirò a dire questo a Mario un giorno, non credo, perché questo è un pensiero da vivere come narrazione interiore, anche in silenzio.


Category: Arte e Poesia, Fumetti, racconti ecc..

About Alberto Cini: Alberto Cini nasce a Bologna nel 1960, lavora come Educatore Professionale e Formatore, presso la cooperativa C.S.A.P.S.A in servizi rivolti all’handicap e all’adolescenza. Specializzato in Psicodramma con i terapeuti argentini Prof. Roberto Losso e Prof.ssa Ana Packciarz de Losso, è conduttore di laboratori espressivo teatrali, di scrittura creativa e grafico pittorici. Diplomato in massaggio tradizionale, shiatzu e massaggio aiurvedico, si specializza sull’approccio solistico alla persona. Ha pubblicato due raccolte di poesie, “Il fiore d’acqua” e “Le tre sfere”, stralci delle sue opere inedite si trovano sulla rivista di poesia “Versante Ripido”, per la quale disegna vignette satiriche e opere di contatto tra poesia e disegno grafico. Artisticamente viene educato all’arte dalla pittrice Bianca Arcangeli, sua insegnante e con la quale ha mantenuto un costante rapporto di condivisione e di confronto. Questo primo approccio lo influenza particolarmente sul rapporto tra parola e segno, tra la poesia e la pittura. Sensibile agli aspetti formativi e pedagogici dell’espressione artistica approfondisce il simbolismo della forma e del colore, l’arte terapia, terapie non convenzionali e tecniche di sviluppo della persona con il filosofo indiano Baba Bedi che frequenta per vari anni nella sua casa milanese. Non percorrendo formazioni accademiche approda alla scuola dello scultore Alcide Fontanesi, col quale comincia un lungo apprendistato formativo sull’espressionismo astratto. Le sue opere sono presso la galleria d'arte Terre Rare di Bologna

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