Nello Rubattu: Il sogno di una chimica verde in Sardegna. Matrica la balla di Stato

| 30 Ottobre 2014 | Comments (0)

 

 

La Sardegna è la metafora dei primati impossibili. Siamo una terra dove si farebbero soldi a palate con il turismo, dal momento che possiede 1900 chilometri di coste e invece si affanna a stare dietro alle aziende più furbette della storia dell’industria mondiale. Inutile parlare di E.On, della Carbosulcis, dei petrolchimici, dei soldi distribuiti a pioggia a industrie di vario genere che sono venute in Sardegna, attirate come mosche dall’insano odore dei soldi a fondo perduto regionale. In questi anni ne hanno distribuito a camionate, a Tir e ne hanno usufruito tutti, meno che i sardi.

La mia è una terra che vive di sogni: ultimamente si è fissata con la chimica verde e gli ospedali finanziati dai fondi di investimento del Qatar. Altri due bluff economici da studiare come modelli di cui stare attenti all’università. Ma i sardi, a quanto si dice, sono ingenuotti e speranzosi peggio di un adolescente al primo appuntamento amoroso. Si fidano, si immaginano chissà cosa e quindi sono predisposti a prendersi delle fregature da manuale.

Ma andiamo per ordine: A Porto Torres, tutti stavano aspettando l’apertura del grande impianto per la chimica verde di Matrìca. Una azienda che si è presentata come una di quelle a tecnologia avanzata che vede fra i suoi azionisti la nostra immarcescibile Eni.

Il discorso che hanno imbastito per le autorità regionali, quelle locali, con i sindacati e i disoccupati della zona (ex tutto, dal petrolchimico, alla Vinyls) è stato semplice e cristallino: “La chimica verde – cioè quella ricavata dai semi oleosi – è il business del futuro. Qui a Porto Torres ci sono gli impianti mezzo andati della Sir, noi utilizziamo l’area e il fatto che ci sia già un bel porto industriale aiuta i cargo che arriveranno; inoltre, il progetto prevede di mettere a reddito i terreni agricoli della Nurra (la seconda pianura della Sardegna, dopo il Campidano), vi promettiamo delle belle coltivazioni di cardi, girasoli e piante simili. Gli olii che si ricavano li portiamo nei nostri impianti nuovi di zecca e li trasformiamo in materiali di base per la chimica”.

Un bel discorsino che ha convinto tutti, lasciando la nostra classe di decisori a bocca aperta dalla meraviglia. Con loro, ci sono cascati folle di cassintegrati, di disoccupati cronici, di giovani alla ricerca spasmodica di un posto sicuro per levare le tende dalle case dei loro genitori che amorevolmente li ospitano e farsi una vita propria, finalmente da adulti: “Al mondo non esiste ancora una società che abbia conoscenze e competenze quali quelle di Versalis e Novamont (società dell’Eni), questo ci aiuta a capire la reale portata del progetto e le sue potenzialità”, ha ribadito Daniela Ferrari, amministratore delegato di Versalis e presidente di Novamont che all’apertura del primo impianto di Porto Torres, non riesce a nascondere la sua soddisfazione.

“In Sardegna, la sfida di Porto Torres, rappresenta una grande opportunità soprattutto in termini di ricerca e innovazione – ribadisce Catia Bastioli, amministratore delegato di Matrìca – l’idea di produrre nell’isola la materia prima necessaria per le nostre lavorazioni, è connessa alla possibilità di coinvolgere l’intero territorio in un processo dalle potenzialità straordinarie, anche sul piano ambientale”

Ma i sogni svaniscono all’alba, diceva Shakespeare… e forse aveva ragione.

A Matrìca, i dipendenti cominciano ad avere i primi dubbi. A quanto pare alcuni investimenti che dovevano arrivare, sono ancora in alto mare e i soldini a fine mese non sono poi così sicuri.

Inoltre, si sa che l’Eni, ha deciso di tirare i remi in barca dalla chimica in tutta Italia e quindi Porto Torres e il suo impianto vengono lasciati da soli ad affrontare i marosi del mercato internazionale.

Insomma, la preoccupazione degli operai è che fra un po’ si comincerà la solita tiritera di cassa integrazione, taglio degli esuberi e via cantando. Per adesso i dipendenti di Matrìca, fanno qualche manifestazione, ma un bello sciopero generale sembra proprio alle porte.

Tutto questo, mica male per una struttura nata da neanche un anno che è stata benedetta dalla regione e ha visto al nastro di partenza, la presenza del ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti.

Chissà dove sono andate a finire le promesse annunciate e di chi sarà la colpa dei finanziamenti che non arrivano. Forse sono bloccati al ministero, oppure in Regione, o non arrivano da Bruxelles. Chissà.

Inutile recriminare troppo. I tempi sono duri, nessuno deve pensare al posto fisso e tutti si devono rendere conto che bisogna capire che siamo in un momento di svolta epocale.

Fra non molto, i nostri paludati e incravattati sacerdoti castali che ci governano, cominceranno ad annunciare che ci vuole pazienza e riterranno giusto ricordare à tout le monde, sui giornali e nei loro teatrini televisivi che la colpa non è loro, che la burocrazia è quello che è che il rosso ricorda troppo la Ferrari e se ne fregheranno comme d’habitude, aspettando che un po’ di gente emigri, altri muoiano e i più fortunati trovino qualche straccio di occupazione.

Ma cosa sta succedendo davvero per la chimica verde e come mai l’Eni non ne vuole più sapere di investire in Italia?

Semplice: la chimica verde è meno dispendiosa se il ciclo produttivo lo si organizza da altre parti. Meglio ancora, se non si hanno sulle spalle impianti onerosi da gestire e non si è costretti ad essere sottoposti ogni giorno alle ire degli ambientalisti che controllano i livelli di inquinamento e balle varie.

Ma questo pensiero attraversa l’Eni da poco o è una riflessione industriale che hanno fatto da molto tempo?

No, è un pensiero antico che ha quasi vent’anni. Solo che in Italia e in Sardegna, chi avrebbe dovuto seguire lo sviluppo delle strategie industriali in questo settore, era occupato in altro e se gli vai a chiedere come mai, ti rispondono che loro non si sono mai accorti di nulla.

Allora è meglio raccontare una fatterello, breve ma molto istruttivo.

Un mio amico che lavora alla Commissione europea, un giorno mi telefona da Lusaka, capitale dello Zambia e mi chiede se ero interessato all’acquisto di cinque mila ettari in quel Paese (si proprio cinquemila): “Costano poco – mi dice – solo cinquanta mila euro”. Gli chiedo, allora, cosa secondo lui me ne dovrei fare: “Quello che stanno facendo da queste parti in molti: coltivi semi oleosi. Hanno un buon mercato e tutti, cinesi in prima fila, li acquistano e ne hanno una grande necessità. E poi, sai, qui un operaio lo paghi 100 euro lordi”.

Ora, se voi foste un imprenditore dove li andreste a prendere i semi oleosi? In Sardegna o nello Zambia? Quali sarebbero quelli che costano di meno? D’altronde, i semi viaggiano per nave, come il petrolio. I cargo li hanno inventati per questo. Tenete poi conto che gli ettari che si potrebbero coltivare nella Nurra, sono in totale ventimila. Cioè, una estensione di terra che in Zambia potrebbe essere acquistata con duecento mila euro e gestita con costi irrisori di manodopera.

E allora, dove sta il trucco della chimica verde?

Sta nel fatto che nella zona industriale di Porto Torres, la crisi e la disoccupazione si fa sentire e quindi si stanno liberando soldi pubblici per contrastarla. L’Eni, si è così inventata la furbata della chimica verde per rastrellare finanziamenti statali e regionali e dare la carotina agli abitanti stremati dalla crisi a Porto Torres.

Per adesso, hanno assunto un centinaio di persone: nel polo petrolchimico di Porto Torres, lavoravano in quindicimila. Sicuramente, dopo un po’ di anni, gli impianti entreranno in crisi e comincerà la rumba dei soldi pubblici per tamponare le falle peggiori.

E siccome alla fantasia non c’è mai fine, l’Eni si sta strategicamente organizzando per aumentare il casino dismettendo la chimica in Italia, chiudendo i suoi impianti e dicendo allo Stato: “Io, in Italia, ho costi industriali troppo alti, perciò pensateci voi. Agite con i prepensionamenti, le casse integrazioni e fate assorbire una parte degli operai in altre strutture o pubbliche o in accordo con i privati”.

Solo che come è capitato a sua volta agli operai Vinyls di Porto Torres, li si mette semplicemente a spasso (o gli si dice, come fu detto a suo tempo a quegli operai, di attendere l’apertura degli impianti di chimica verde per essere riassorbiti). Perché in Sardegna non vi sono industrie dove è possibile ricollocare qualcuno: è tutto chiuso; a differenza di quanto è capitato agli operai Vinyls di Marghera che solo in minima parte sono in cassa integrazione, il resto li hanno sistemati in altre strutture industriali pubbliche e private e in accordo con la Regione. Ma in Veneto, per loro fortuna, hanno meno problemi di occupazione che da noi e uno strapuntino di lavoro lo trovano sempre.

Insomma, gli operai sardi che si sono fidati dei loro politici locali e di quelli del Governo, se la prenderanno ancora una volta in quel posto. Punto e a capo.

Ma la seconda più tragica balla che si è inventata la classe dirigente regionale e nazionale è ancora più sottile e ne hanno parlato senza vergognarsi all’apertura del primo segmento d’impianto realizzato da Matrìca: hanno annunciato che vogliono dare vita ad un polo di ricerca avanzato per la chimica verde a Porto Torres.

Nel mondo di poli di ricerca di quel tipo ne esistono a centinaia, tutti rigorosamente finanziati da privati e dal pubblico. Funzionano benissimo e non hanno che il problema di reclutare ricercatori da tutto il mondo. In Italia, invece, la ricerca langue e di soldi in questo settore, nessuno ne vuole sganciare. A parte parlarne per presentarla come una linea strategica nazionale per il futuro, non sembra vi sia un reale interesse a cambiare modello di intervento.

E allora come la vogliono finanziare questa benedetta ricerca nel settore della chimica verde a Porto Torres? Nessuno lo sa.

Forse con soldi pubblici, si potrebbe pensare. Ma per quanto ne sappiamo, di soldi pubblici per la ricerca non se ne vedono molti all’orizzonte. Non per niente l’Eni se ne sta andando via dall’Italia.

Anche questa partita – che non è ancora neanche cominciata – finirà come le altre: a cassa integrazione. Se va bene.

Siamo stati chiari?

 

Category: Ambiente, Osservatorio Sardegna

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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