Michelangelo Cocco: Via al Summit di Parigi, contro gas serra servono soldi e leadership

| 30 Novembre 2015 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo da www.cinaforum.net del 30 novembre 2015: La foto vede insieme il  presidente cinese, Xi Jinping, e quello francese, Francois Hollande

 

Un accordo globale vincolante – per sostituire il protocollo di Kyoto che scadrà nel 2020 e per dimenticare il fallimentare summit di Copenaghen del 2009 – in modo da ridurre in maniera drastica le emissioni di gas serra (GHG) permettendo di contenere entro i 2°C l’aumento della temperatura del Pianeta rispetto al periodo pre-industriale.

È lo sforzo che sono chiamati a compiere le migliaia di delegati che partecipano al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP21) che si è aperto questa mattina a Parigi nella forma di summit tra capi di Stato e di governo di oltre 150 paesi e che proseguirà con le trattative di diplomatici e tecnici fino al prossimo 11 dicembre.

In gioco c’è la faccia dei leader mondiali, pressati da un’opinione pubblica sempre più consapevole delle devastazioni – prodotte dall’inquinamento e dalle attività umane – che minacciano il Pianeta. E anche qualcosa di più: Stati Uniti e Cina hanno l’opportunità di nascondere le loro profonde divergenze strategiche (egemonia in Asia, influenza nella finanza mondiale, etc.) dietro a uno “storico” accordo sui cambiamenti climatici promosso dalla prima e dalla seconda economia mondiale.
La Cina – che con il 23,3% del totale è il primo emettitore mondiale di GHG – è destinata a giocare un ruolo da protagonista, come ha dimostrato la strategia di avvicinamento a Parigi messa in atto dal presidente Xi Jinping (presente nella capitale francese assieme al suo omologo statunitense Barack Obama) e compagni. A muovere Pechino non è solo l’intenzione di guidare la diplomazia ambientale, ma anche quella di rivoluzionare (rendendolo “verde”) il suo vecchio sistema economico, orientato alle esportazioni di massa e ultra-inquinante.

 

Poche ore prima dell’apertura a Parigi del COP21, ieri le autorità di Pechino hanno diramato per la capitale l’allerta smog più alto (livello arancione, che impone lo stop a fabbriche e cantieri) dall’inizio dell’anno. A dimostrazione di quanto lungo e difficile sia il cammino che il gigante asiatico dovrà compiere se vorrà superare una vera e propria crisi ambientale della quale l’inquinamento atmosferico rappresenta soltanto un aspetto.

La concentrazione di polveri sottili registrata dalle autorità locali, in alcune zone eccedeva di 17 volte quella considerata pericolosa dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nel pomeriggio, il livello di PM 2.5 registrato dall’ambasciata statunitense in alcune aree di Pechino aveva raggiunto i 400 microgrammi per metro cubo, col livello massimo fissato dall’Oms a 25.
L’iniziativa diplomatica della Cina a Parigi conterà molto anche perché uno dei nodi più difficili da sciogliere per arrivare a un accordo “storico” sarà quello di come ripartire l’onere (economico) delle misure (vincolanti?) da mettere in atto per ridurre le emissioni di gas serra: peseranno di più sui paesi ricchi e avanzati o su quelli poveri, che rivendicano il diritto di compiere la propria rivoluzione industriale, alimentandola a carbone o, in alternativa, con energie pulite sussidiate dall’Occidente che ha già inquinato per secoli? E la Cina, che parte prenderà in questa contesa?

La Cina ufficialmente si appella al principio delle “responsabilità comuni ma differenti”, in base al quale paesi con diversi contesti economici, sociali e storici devono contribuire in base alle loro differenze.

Nel settembre scorso, durante il suo viaggio ufficiale negli Stati Uniti, Xi e Obama avevano pubblicato un comunicato congiunto sui cambiamenti climatici nel quale sottolineavano la volontà di collaborazione tra Pechino e Washington per affrontare il problema e far riuscire il summit di Parigi. In quell’occasione Pechino aveva promesso di contribuire con 3 miliardi di dollari a un fondo Sud-Sud per aiutare i paesi in via di sviluppo affetti dal riscaldamento globale.

Il 2 novembre Xi aveva discusso di clima con Francois Hollande. Assieme al presidente francese aveva fatto appello a “promuovere un’effettiva applicazione (dell’accordo) anche attraverso relazioni e controlli” sullo stesso da parte degli Stati e proposto una clausola dell’accordo da sottoscrivere a Parigi con la quale i paesi firmatari si impegnerebbero, ogni cinque anni, a “fare un bilancio” dei progressi compiuti in direzione del raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo.
L’anno scorso Pechino annunciò che la Cina raggiungerà il picco delle emissioni di gas serra entro il 2030, impegnandosi a raggiungerlo il prima possibile e, subito dopo, a intraprendere una parabola discendente a base di un impiego sempre più ridotto di combustibili fossili.

 

Un editoriale pubblicato ieri da Xinhua sottolinea che “deve essere chiaro che sebbene la Cina rappresenti un attore importante, non potrà decidere il risultato del COP21”. Secondo l’agenzia di stampa governativa, un eventuale successo del vertice richiederà il coordinamento e il contributo “specialmente delle nazioni occidentali sviluppate”.
Alle prese con un problematico rallentamento economico, Pechino rivendica di “aver incluso l’ammodernamento – in direzione di una crescita “verde” – del suo sistema industriale nel 13° Piano quinquennale (2016-2020)”.

E poco importa che un rapporto di Greenpeace Asia e della North China Electric Power University del 18 novembre scorso riveli che Pechino – nonostante il gigantesco eccesso di capacità produttiva, conseguenza del rallentamento economico – continuerà a iper-investire nel carbone, soprattutto nelle province centrali e occidentali. Il governo cinese preferisce evidenziare i suoi investimenti (ingenti) nel settore delle energie rinnovabili.
Mentre, secondo Xinhua, “la performance occidentale per attenuare le conseguenze dei cambiamenti climatici è stata, finora, scoraggiante”.
Insomma tutti d’accordo che quella del riscaldamento globale è una emergenza globale dagli effetti potenzialmente apocalittici, ma restano due grossi nodi da sciogliere, si spera nei prossimi giorni: quali e quanto vincolanti saranno i punti dell’accordo; quanto denaro verrà messo a disposizione di questa battaglia e come ne verrà ripartito l’esborso.

 

 

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Category: Ambiente, Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Michelangelo Cocco: Michelangelo Cocco si è laureato all'Orientale di Napoli con una tesi sul processo di riconciliazione post-apartheid in Sudafrica.Terminati gli studi universitari si è scritto ad una scuola di specializzazione in giornalismo, la Luiss di Roma ed è diventato corrisponde estero de Il Manifesto in Grecia scrivendo sulla crisi greca il libro "Il fuoco di Atene" (ed. Il Manifesto Libri 2011). E' poi stato come giornalista in Palestina e in Cina e attualmente oltre che al Manifesto collabora a Cinaforum.

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