Aulo Crisma : Due ritorni a Parenzo

| 24 Novembre 2017 | Comments (0)

    Mura e torri veneziane, ceramica di Aulo Crisma

 

1. Ritorno a Parenzo 2017

Da oltre dieci anni non mettevo piede a Parenzo. Questa volta, a differenza delle altre quando la visita si concludeva in giornata, ho deciso di fermarmi per un’intera settimana, soggiornando in un hotel in Brulo. E’ giugno e la stagione turistica è già avviata. “…..Parenzo….. Che bel logheto! Regna qua una pase, / Che nessuni la vien a desmissiar”.Questa frase di D. Del Zotto è riportata nella prima pagina della guida storica di Ranieri Mario Cossàr del 1926. E per non turbare la pace e la purezza dell’aria i siori della città, come si raccontava tra la gente, si erano opposti all’insediamento di una industria conserviera che invece è andata ad Isola. Oggi la quiete ritorna soltanto alla fine della stagione turistica e la città ridiventa “un bel logheto”, offrendosi spoglia della bardatura di sedie, tavolini, tendoni e varie cianfrusaglie (le chiamerei strafanici in dialetto parenzano ) che ingombrano vie e piazze, rivelando il suo volto più genuino, ricco di tesori del gotico veneziano e delle vestigia romane, oltre agli splendori incomparabili della bizantina Basilica Eufrasiana.      

Ho deciso di ritornare a Parenzo, dove non era rimasto nessun mio parente, anche per incontrare una persona conosciuta soltanto via internet e con la quale si era stabilita una vera amicizia. Per merito suo la mia città non mi era più estranea. Io l’avevo abbandonata con l’esodo nel dopoguerra dei trecentomila Istriani, lui discendeva da una famiglia che non ha voluto abbandonare la sua terra. Con piacere parlavamo il nostro dialetto, introducendo nel discorso anche termini propri dell’antico vernacolo.

     E in dialetto alla prima domanda nell’intervista che mi ha fatto la direttrice del Museo del Territorio: che cosa penso di Parenzo, ho risposto: “Parenzo, i te ga vestido mal, ma te son sempre bela”. Ha capito che mi riferivo alle costruzioni alberghiere disseminate tutt’intorno. Quella dell’isola San Nicolò, quando l’ho vista, mi è sembrata la Concordia incagliata che nessun rimorchiatore potrà mai rimuovere.                                     

Ogni mattina, accompagnato da mio nipote Luca, dal Brulo mi sposto alla città. Camminando sul lungomare ricamato da continue sporgenze e rientranze respiriamo l’aria pura impregnata di salso e della resina dei pini che con i rami si protendono fin quasi ad abbracciare l’acqua. L’accesso al mare è facilitato da gradini e piattaforme di pietra che coprono in parte la scogliera. Indico a Luca un grande spazio vuoto tra gli alberi. Il mio maestro delle elementari mi aveva spiegato che da quel luogo avevano asportato una grande lastra monolitica per coprire il mausoleo di Teodorico a Ravenna. Più avanti, su una punta, esiste ancora il trampolino per i tuffi. Poi, dopo la punta del cimitero vecchio, il porto è occupato da banchine di cemento per l’ormeggio di imbarcazioni a vela, di motoscafi di stazze e tipi diversi. Davanti a quello che una volta era lo squero, quasi nascosta tra le lussuose barche, vedo una vecchia battana. Il trasto, il traverso di legno con gli scalmi alle estremità per l’appoggio dei remi, è staccato dalla sua sede e messo di sbieco tra prua e poppa. Ad uno scalmo manca un piolo. La tinta è scolorita. Nella sentina è raccolta acqua piovana. E’ triste vedere com’è ridotta l’imbarcazione simbolo dei pescatori. Quando li vedevi remare in piedi, il fiero sguardo dritto in avanti, ti davano l’impressione di essere un tutt’uno con la barca. Che era accudita come una creatura, ridipinta ogni anno dentro e fuori , prima calafatata se necessario, e una mano di black al fondo piatto.

   La piazza Fora le Porte è piena di tavolini, di sedie e di gente. Davanti alla sede della Comunità degli Italiani incontro il presidente. Abitavamo nella stessa via. Anche la sua famiglia era rimasta a Parenzo.         E’ contento di rivedere un compaesano. Percorriamo insieme la Via Decumana, la Strada Granda e le altre vie del centro storico. Nella mente mi si affollano i ricordi del lontano passato. Rivedo le facce delle persone che abitavano in ogni singola casa. Qui abitava la mia compagna delle magistrali Giuseppina. Là c’era lo studio dell’unico fotografo del paese che ogni anno ci faceva la foto di gruppo dalle elementari fino alle superiori, nascondendo la testa sotto un telo nero da cui sbucava l’obiettivo della sua grande macchina posta sul treppiede. Accanto, nella sede della biblioteca circolante, c’erano le sorelle Cuzzi. Più avanti, nella bottega di frutta e verdura di Chiarandini vendevano le banane, che soltanto i siori, i signori, potevano acquistare. E potrei continuare… associando ad ogni persona un fatto, una storia.

     I nuovi Parentini amano la loro città. Mi piace vedere un libro di belle foto di Parenzo coperta da una eccezionale nevicata. Mi piace leggere che un giornalista scriva “il nostro San Mauro”. E’ da apprezzare il loro interesse per la storia passata. E’ significativo che in una edizione bilingue ricordino il ritorno delle reliquie dei Santi Patroni restituite negli anni Trenta del secolo scorso dai Genovesi, che le avevano rapite durante le guerre con Venezia.

     Il mio amico di Parenzo mi ha chiesto perché siamo andati via. Non era un rimprovero. Forse un rammarico.

Casa gotico veneziana sull’angolo del Cardine Massimo che incrocia la Via Decumana

 

2. Ritorno a Parenzo 1994

(articolo apparso su  “In strada granda”   nel 1994)

     Nel maggio del ’46 il Pisspaiss mi portava via da Parenzo. Il piccolo peschereccio, che faceva le funzioni dei vari piroscafi di linea, mi conduceva a Trieste. A Parenzo avevo lasciato fanciullezza, adolescenza, gioventù. Vi sarei ritornato vent’anni dopo, per far conoscere la mia città natale a mia moglie e ai figli.                    

Che delusione, quella visita… Ritornavo nei luoghi, tanto cari un tempo, che di colpo mi erano diventati estranei, stranieri, quasi ostili. Le case si erano svuotate delle persone che conoscevo, erano diventate come corpi morti, senz’anima, anche se altre persone avevano preso il posto dei vecchi abitatori. Per le vie, dalla bocca della gente uscivano parole incomprensibili, ben lontane dalla musicalità della parlata istriana. Il paese non era più mio. Me lo avevano rubato. I ricordi non combaciavano con le persone. Tutto  era sfasato irreale.                                                                                                                                               

Soltanto dopo altri ventotto anni ebbi la voglia di rimettere piede a Parenzo. Era una serena giornata di luglio. Il viaggio da Trieste si era sviluppato sulla vecchia tortuosa strada dell’interno. Mi faceva da guida mio fratello Santo. Abbiamo preso Parenzo alle spalle, fermandoci alla Madonna del Monte, che io, da solo, non avrei riconosciuto. Dove erano finite le piste tra i pini sulle quali, fanciulli, ci buttavamo scivolando sugli aghi secchi con i nostri slittini? La chiesetta era ancora la stessa. Vi si andava con mons. Agapito a recitare il rosario nelle sere di maggio. Le costruzioni intorno avevano rotto l’incanto.                                            

Posteggiata la macchina nell’area che una volta era il Pradevisse, il nostro campo di calcio teatro di interminabili partite, ci siamo incamminati sul lungomare della Peschera. Faceva uno strano effetto andare a piedi dove prima si poteva andare soltanto in barca o arrivarvi in pochi punti uscendo dalla sacrestia, dai giardini del vescovado, o per un vicolo rasente la torre veneziana. Il vescovo Trifone Pederzolli d’estate qualche volta varcava la porticina sulla Peschera per fare il bagno. Scendeva lentamente in acqua con il tricot indosso, il cappello sulla testa, il bastone in mano. Era come se continuasse a passeggiare, come fanno i gransipori che camminano fuori dall’acqua e dentro.                                                                                                                          

La Basilica Eufrasiana mi riporta indietro nel tempo, negli anni della fanciullezza quando, da chierichetto, servivo Messa a mons. Bronzin tutte le mattine di buonora nella cappellina del Santissimo. Nella cappella del Crocifisso si officiavano i funerali di terza classe e il nònsolo Angelo Galante cantava con bella voce il De Profundis. E’ murata l’apertura che dava sulla cappella della Madonna. Qui il maestro Zuliani suonava l’organo, Zuane tirava la fola e i chierichetti cantavano i Vesperi sotto l’occhio vigile di don Piero Cleva.   Dall’alto del campanile lo sguardo gira tutto intorno: la diga nuova, l’isoletta della lanterna, San Nicolò con quelle costruzioni che ti lacerano la memoria, le dighe, la serie di punte e insenature in uno sfavillio di luci sul mare appena increspato. Dalla parte di terra e verso Pizzal le colate di cemento hanno invaso i vecchi posti che ormai non riconosco.                                                                                                                          

La passeggiata sulla riva fa affiorare altri ricordi. La motonave San Giusto non attracca più al molo Riviera; il Quieto, il Nesazio e gli altri fratelli piroscafi non sostano più al molo Nazario Sauro. Gli sbuffi di vapore ed il fischio delle sirene non salgono più a scuotere l’aria del porto.                                                                            

Fuori le Porte, Santa Maria degli Angeli è chiusa. Sembra imbronciata. In via Carducci passo davanti alla mia casa. Al posto del forno hanno aperto un bar. In fondo alla via nella casa e nel giardinetto di don Toso c’è un ristorante.

Lo squero è sparito. La canottiera non c’è più. Svanito anche l’odore della marina. Alle banchine di cemento sono ormeggiate barche a vela e a motore di ogni tipo. Non vedi una battana, un battello da pesca,            

In una barchetta davanti alla casa Amoroso vicina al cimitero vecchio vedo un uomo anziano che si muove disinvolto come uno che è nato sul mare. Gli domando da quanti anni vive a Parenzo. “Da quando son nato” mi risponde. Gli dico:”Mi son fio de Piero Cogheto”. L’uomo salta a riva, mi fissa e dice: “Ti te son Aulo e ti (rivolgendosi a mio fratello) te son Santo. Mi abitavo rente casa vostra, da l’altra parte de la ramà de la vostra corte, ne la casa che dopo gà comprà Gigi Casarsa”. Mio fratello ed io non riusciamo ad identificarlo. Ce lo dice lui chi è. E’ Gianni Percavaz ed ora abita in Simaré.                                                                                      

Un fiotto di ricordi sale alla mente. Un groppo di pianto irrompe negli occhi di Gianni, commosso nel rivedere dei concittadini. Ci abbracciamo come fossimo parenti. Più che parenti: Parentini.                            

Gianni salta agilmente nella sua barchetta, avvia il motore. Mentre s’allontana per andare a tirar su le nasse ci saluta ancora con un gesto triste della mano.                                                                                                            

La vecchia via Carducci: A sinistra un bar ha preso il posto della casa Crisma con il panificio

Basilica eufrasiana

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Category: Aulo Crisma e la rivista "inchiesta", Culture e Religioni, Fare Inchiesta

About Aulo Crisma: Aulo Crisma è nato a Parenzo nel 1927. Nel 1945 ha conseguito il diploma magistrale.Nel 1946 ha lasciato l'Istria come esule. Ha fatto il maestro elementare prima a Giazza, dove si è sposato con la collega Maria Dal Bosco, e poi a Selva di Progno. E' stato un attivo animatore culturale dirigendo il locale Centro di lettura, divenuto poi Centro sociale di educazione permanente. E' stato per molti anni corrispondente del quotidiano L'Arena di Verona. Ha condotto numerosi lavori di ricerca e documentazione sulla storia dei Cimbri, una popolazione di origine tedesca che si era insediata sui Monti Lessini verso la fine del XIII secolo, che ancora manteneva vivo nell'enclave di Giazza ,l'antico idioma alto tedesco.Ha fatto parte del Direttivo provinciale del Sinascel, sindacato nazionale della scuola elementare. Ha pubblicato "Guardie e contrabbandieri sui Monti Lessini" (con Remo Pozzerle), Ed. Taucias Gareida, Giazza-Verona, 1990; "Lessinia, una montagna espropriata" (con Remo Pozzerle), HIT Edizioni, San Martino Buonalbergo, 1999; "Bar lirnan tauc': Noi impariamo il cimbro, Ed. Curatorium Cimbricum Veronense,, Verona, 2001; "Parenzo, gente, luoghi, memoria" Ed. Itinerari educativi, Comune di Venezia, 2012. Attualmente vive con la moglie a Tencarola, in provincia di Padova, e collabora alla rivista Inchiesta.

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